Armonia o Coercizione e Scappatoia

Di Régis Soavi. 

Coercizione: l’atto di costringere qualcuno, per forzarlo ad agire.
Scappatoia: modo abile e indiretto per uscire dall’imbarazzo.
Queste sono le definizioni del dizionario. Nei sinonimi di scappatoia troviamo: schivata, scampo, evasione e anche via d’uscita. Non sarebbe piuttosto questo il significato da dare agli Ukemi che, di fatto, nell’Aikido, non sono che risposte intelligenti alle proiezioni?

Una via d’uscita

Come abbiamo visto nello Speciale Aikido N°22 di Dragon Magazine riguardante gli Ukemi, la caduta nella nostra arte non è mai considerata come una sconfitta ma piuttosto come un andare oltre. È anche, a volte, semplicemente un mezzo per uscire da una situazione che nella realtà potrebbe essere pericolosa, anche fatale se accompagnata da certi Atemi, o se cadendo viene toccato un punto vitale. Allo stesso modo, la proiezione, se sembra effettivamente una costrizione durante una seduta, lascia sempre una via d’uscita per Uke, un modo per lui di ritrovare la propria integrità, l’Ukemi è lì per questo. Durante gli anni di apprendimento, una delle condizioni essenziali per ognuno è perfezionare le proprie cadute, poiché serviranno a migliorare le risposte alle tecniche di proiezione di Tori. Non dobbiamo confondere l’allenamento e il combattimento; senza cadute controllate è pericoloso proiettare qualcuno senza rischiare un incidente e le sue possibili conseguenze, ciò non è affatto l’obiettivo della pratica sui tatami. Sia che le proiezioni siano corte come nei Koshi-nage, o più lunghe come nei Kokyu-nage, lasciano sempre la possibilità a Uke di uscire indenne dalla tecnica. Solo le proiezioni con un controllo severo, ad esempio fino a terra, non lasciano dubbi quanto al fatto di non poterne sfuggire, ma se si lavora solo in questa direzione tanto vale praticare il Jiu-jitsu per il quale è la regola, e che è perfettamente adatto al combattimento tra guerrieri. A mio parere, la vocazione dell’Aikido non è la ricerca dell’efficacia ma piuttosto l’approfondimento delle capacità, sia fisiche che psico-sensoriali, umane, al fine di ritrovare la pienezza del corpo e le sue complete capacità.

Proiettare è allontanare

Quando una persona ha questa brutta abitudine di “appiccicarsi” agli altri, di essere così vicina durante una discussione, che ci si sente oppressi, si ha un solo desiderio, e cioè allontanarla con tutti i mezzi; solo il nostro lato sociale, se non la buona educazione, a volte ci impediscono di farlo. Se non l’allontaniamo, cerchiamo di allontanarci noi, prendiamo una certa distanza. Allo stesso modo, proiettare è allontanare l’altro, è permettersi di riconquistare lo spazio che è stato invaso, o persino rubato, o distrutto, durante un’incursione nella nostra sfera vitale, a maggior ragione durante un confronto. Ritrovare il Ma-ai, questa percezione dello spazio-tempo la cui comprensione e soprattutto la sensazione fisica è alla base del nostro insegnamento, è essenziale per l’esercizio della nostra libertà di movimento, per la nostra libertà di essere. È recuperare un soffio, una respirazione forse più calma, possibilmente ritrovare una mente riorganizzata, una lucidità che è stata disturbata da un’aggressione che ha innescato una tecnica di risposta che è diventata istintiva e intuitiva grazie all’allenamento. È anche la possibilità ovviamente di rendere consapevole l’aggressore dell’inutilità, della pericolosità di proseguire nella stessa direzione.

nage waza

Curare la malattia

L’Aikido ci porta ad avere un rapporto diverso con il combattimento, relativo più alla lucidità sulla situazione, che alla risposta violenta e immediata per azione riflessa ad un’aggressione. Questa attitudine che può essere chiamata saggezza, acquisita in anni di lavoro sul corpo, ne è il risultato.
Chi aggredisce è in un certo senso visto come un individuo che ha perso il controllo di se stesso, spesso semplicemente per ragioni sociali o educative. Un disgraziato, uno squilibrato, un malato dal punto di vista psichico, che purtroppo può rivelarsi dannoso per la società, per chi gli sta intorno, e che, come minimo, disturba l’armonia relazionale tra le persone, e, al peggio, provoca danni incommensurabili agli altri. Non si tratta di punire il “malato », né di scusare la malattia che si giustificherebbe in nome del principio della contaminazione da parte della società, ma di trovare il modo per uscire dalla situazione senza essere noi stessi contaminati. L’Aikido è una formazione per tutti e il suo ruolo è più ampio di quanto molte persone generalmente pensino. Spesso porta sollievo, anche pacificazione, alle proprie difficoltà o abitudini di natura psicologica, permette attraverso una formazione allo stesso tempo rigorosa e piacevole, di ritrovare la forza interiore e la via giusta per poter affrontare questo tipo di problema.
Durante l’allenamento, se la proiezione arriva alla fine della tecnica, non è mai fine a se stessa. A volte potrebbe essere vista come una firma, e come una liberazione di Tori ed anche di Uke.
Una buona proiezione richiede un’ottima tecnicità ma soprattutto una buona coordinazione della respirazione tra i partner. È importante non forzare mai un praticante a cadere ad ogni costo. Dobbiamo essere in grado di sentire, anche all’ultimo momento, se il nostro partner è in grado di eseguire una caduta corretta o meno, altrimenti si provocherà un incidente e ne saremo responsabili. Tutto dipende dal livello del partner, dal suo stato « qui e ora »; se la minima tensione o la minima paura si manifesta all’ultimo momento, è imperativo sentirla, percepirla e permettere che il nostro Uke si rilassi per poter fare la caduta senza pericolo. A volte sarà meglio abbandonare l’idea della proiezione e proporre di scendere fino a terra accompagnando, cosa efficace e tuttavia delicata, anche se l’ego di alcuni rimarrà sempre insoddisfatto di non aver potuto mostrarsi così brillante come avrebbe desiderato. Ma è agendo così che avremo permesso ai principianti di continuare senza paura. È grazie alla fiducia che avranno acquisito con i loro partner che saranno portati a perseverare. Avranno constatato di essere stati presi in considerazione per come sono, che le loro difficoltà e il loro livello sono rispettati, che la paura che hanno avuto non è un handicap per la pratica, anzi, permette loro di andare al di là di quelle che credevano essere le loro incapacità, i loro limiti. Constatano con piacere di non essere cavie al servizio dei più avanzati, ma che con qualche sforzo potranno raggiungerli o addirittura sorpassarli se ne hanno il desiderio.
I più avanzati devono essere lì per permettere ai più nuovi di constatare che la caduta è un piacere quando la proiezione è fatta da qualcuno tecnicamente capace di condurla in modo da coniugare morbidezza e armonia, e quindi in modo sicuro. Tsuda Sensei racconta come si comportava O Sensei Morihei Ueshiba durante le sedute da lui condotte:
« Se, all’età di più di ottant’anni, piccolo di statura, proiettava una banda di assalitori giovani e vigorosi, così facilmente, come se fossero pacchetti di sigarette, questa forza straordinaria non era affatto la forza, ma la respirazione. Domandava, carezzandosi la barba bianca e chinandosi con sollecitudine verso di loro, se non avesse fatto loro male. Gli assalitori non si rendevano conto di quello che era loro accaduto. Di colpo, erano stati trasportati da un cuscino d’aria, avevano visto la terra in alto e il cielo in basso, prima di atterrare. Si aveva una fiducia assoluta in lui, sapendo che non avrebbe mai fatto del male a nessuno.”(1) Questo comportamento di O Sensei nei confronti dei suoi allievi deve servire da esempio a ciascuno secondo il proprio livello perché ci conduce non alla abnegazione o al farsi da parte, ma alla saggezza come esprimeva Lao Tseu: « Il saggio è giusto senza essere rigido, incisivo senza lacerare, diretto senza essere arrogante, brillante senza abbagliare ».(2)

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Proiezione o brutalità

L’Aikido di oggi sembra oscillare tra due tendenze principali, una vorrebbe andare verso la competizione e una visione sportiva, l’altra cerca un modo per rafforzarsi, per attingere da antiche tecniche di combattimento come il Jiu-jitsu un’efficacia che non gli è più riconosciuta.
E se l’Aikido fosse sufficiente a se stesso! Nulla impedisce di praticare altre arti, di fare Teatro o Danza, Iaido o Boxe, ma questo non sarà in alcun modo complementare. È piuttosto un arricchimento per l’individuo stesso, per il proprio sviluppo. Forse si capirà più in là, di nuovo, cosa fa la ricchezza della nostra Arte.
Perché rendere i dojo di Aikido luoghi di allenamento al combattimento di strada dove l’efficacia diventa il punto di riferimento ultimo? Il dojo è un altro mondo in cui bisogna penetrare come se fosse tutta un’altra dimensione, poiché è proprio di questo che si tratta, anche se pochi allievi ne sono consapevoli. Se le proiezioni sono diventate solo delle costrizioni, dov’è il rapporto di armonizzazione messo in evidenza dal fondatore e dai suoi allievi più vicini, e che rivendichiamo ancora oggi? Troppo spesso ho visto praticanti affermare il proprio ego schiacciando Uke alla fine di una tecnica, benché il partner non avesse opposto quasi alcuna resistenza fino a quel momento. O altri, opporre una resistenza ulteriore allorché la tecnica è già finita da un punto di vista tattico, sia nel posizionamento che nella postura dell’uno come dell’altro, obbligando Tori ad applicare in modo severo e inutile una proiezione che, per questo, diventa molto rischiosa per Uke se non ha un livello sufficiente.
Che dire delle dimostrazioni preparate sotto gli auspici di maestri autoproclamati, di cui Internet ci satura, con una quantità di contorsioni e salti mortali, il tutto decorato dai commenti di chi le visualizza?
Non è una totale assurdità vivere nella costrizione quotidiana esercitata dai comportamenti generati dal tipo di società in cui viviamo, e praticare le arti marziali per imparare a « subirle senza batter ciglio », o imparare a costringere gli altri per recuperare le poche briciole di potere che ci hanno lasciato, quando invece il progetto sostenuto dalla pratica dell’Aikido è di tutt’altra natura?

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Un tappo di champagne

Come spesso fa nei suoi libri Tsuda Sensei ci racconta la sua esperienza e la sua pratica con O Sensei Ueshiba Morihei, ecco ancora un passaggio: « C’è un esercizio che consiste nel lasciarsi prendere un polso dal proprio avversario che lo afferra e lo blocca con due mani. A questo punto lo si ribalta all’indietro con la respirazione che viene dal ventre. Quando il polso viene bloccato da qualcuno molto forte, è impossibile muoversi. Questo esercizio ha per scopo quello di aumentare la potenza della respirazione.
Un giorno il Maestro Ueshiba sorridendo mi ha presentato due dita della mano sinistra per fare questo esercizio. Non avevo mai visto nessuno farlo con due dita. Le ho afferrate con tutte le mie forze. E allora, pof, sono stato proiettato in aria come un tappo di champagne. Non si trattava di forza, perché non ho sentito alcuna resistenza fisica. Sono stato semplicemente portato via da una ventata d’aria. Era veramente gradevole e non aveva niente di paragonabile a quello che facevano gli altri praticanti. » « Un’altra volta era in piedi e mi fece segno di venire. Mi posi davanti a lui ma egli continuava a parlare a tutti. La cosa durò piuttosto a lungo, mi chiedevo se avessi dovuto rimanere lì o ritirarmi quando, di colpo, sono stato portato via da un cuscino d’aria e mi sono ritrovato a terra dopo una bella caduta. Tutto ciò che avevo potuto constatare era stato il suo kiai potente e la sua mano destra che, dopo aver descritto un cerchio, si era diretta verso il mio viso. Non ero stato toccato. A questo si potrebbero dare spiegazioni psicologiche o parapsicologiche di ogni tipo, ma sarebbero tutte false. Prima che avessi avuto il tempo di reagire con un qualsiasi riflesso, ero già stato proiettato. Questo famoso cuscino d’aria, è l’unica spiegazione. « (3)
“Parlare di decontrazione quando si parla di Aikido sembra sconcertare molte persone. Sono sufficientemente contratte in partenza e hanno bisogno di contrarsi ancor di più per sentirsi bene. Quello che cercano sono il dispendio di energie fisiche e nient’altro. Il mio Aikido è definito come un Aikido dolce. Ci sono persone a cui piace. Altri preferiscono l’Aikido duro. Ho sentito fare degli apprezzamenti. Qualcuno ha detto: «Il vero Aikido, è l’Aikido duro». Questi ha avuto un polso rotto ed è stato bloccato per un mese. Ognuno ha i suoi gusti. Io mi fermo quando sento che l’avversario è troppo rigido per poter cadere adeguatamente. So riparare i polsi rotti, e anche le costole rotte. Se so riparare è perché ho rispetto per l’organismo vivente. Evito di rompere. Se si preferisce rompere, gli insegnanti si trovano facilmente. »(4)
La potenza della respirazione è paragonabile alla forza della coercizione? Quale dovrebbe essere l’orientazione da prendere? A ognuno spetta di decidere la direzione che vuole seguire, nessuno ci deve forzare, qualsiasi siano le buone ragioni invocate.

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 6 nel mese di luglio del 2021.

Note:
1) Itsuo Tsuda, Il Non-Fare, Yume Editions, 2014, pag. 23.
2) Lao Tseu, Le classique du tao et de ses vertus, Moundarren, 1993, p. 77.
3) Itsuo Tsuda, La via della spoliazione, Yume Editions, 2016, pag. 151-152.
4) Ibidem, pag. 160-161.