La paura, un’origine acquisita congenitamente?

di Régis Soavi

La paura ha una doppia origine, è prima di tutto una risposta primitiva, atavica, già perfettamente nota, ma ha anche un’origine acquisita congenitamente, ed è quindi proprio per questo una conseguenza della civiltà.
Sebbene possa essere uno dei mezzi di difesa per la sopravvivenza, troppo spesso è diventata un handicap nelle nostre società industrializzate.

La paura nel mondo di oggi tende a precedere quasi ogni azione per un gran numero di persone e non compare per caso, si presenta sotto forma di – ho trovato trentadue sinonimi per questa emozione – timore, apprensione, inquietudine, angoscia, ecc., questi ultimi intersecandosi si demoltiplicano(1) Ogni volta essa annulla l’atto, il gesto, l’iniziativa, o li distoglie dall’obiettivo prefissato, presentandosi come se fosse “la” risposta indispensabile ad ogni problema che si pone.

La respirazione, il suo meccanismo

Il blocco della respirazione e le difficoltà respiratorie di molti nostri contemporanei in caso di aggressione o, soprattutto, di minaccia di un conflitto possono essere spiegati con un meccanismo selvatico involontario, cioè primitivo, che si è irrigidito. Si tratta più di un’abitudine che è nata proprio dalla paura piuttosto che di una mancanza di allenamento a combatterla o a superarla. Blocchiamo l’aria, la comprimiamo, per rispondere nel modo più adatto a ciò che potrebbe accadere. Tratteniamo il respiro, « il fiato » per essere pronti ad agire, immagazziniamo aria con una rapida inspirazione perché per agire, per difenderci, per fuggire, o anche semplicemente per gridare, bisogna espirare. È l’espirazione che permette l’azione aggressiva o difensiva e quindi è l’ispirazione che, precedendola, ci rassicura perché ci posiziona in modo vantaggioso rispetto agli atti che sembrano inesorabilmente seguire. Istintivamente agiamo in questo modo ogni volta che pensiamo di doverci difendere, e questo fin dall’infanzia. In realtà, a prescindere dall’intenzione, non sempre possiamo difenderci, la società non lo permette, ci sono delle regole. In molti casi siamo costretti a rimanere in ansia, bloccati, con il fiato corto senza riuscire a liberarci. Basta ricordarsi della propria infanzia o adolescenza, delle proprie reazioni fisiche durante gli esami o semplicemente di quando uno dei nostri insegnanti interrogava a sorpresa o ci faceva una domanda su un argomento che non avevamo studiato abbastanza, o che avevamo saltato. Ci sono troppe persone per le quali la scuola ha rappresentato un percorso tragico durante il quale l’ansia, per quanto interiorizzata, è stata una delle loro più fedeli compagne nell’avversità. Non è così sicuro che, parafrasando l’aforisma di Nietzsche, « ciò che non ci uccide ci rende più forti ». Dipende troppo dall’individuo, dal momento e dalla situazione, tra le altre cose. Le difficoltà nell’infanzia non sono sempre all’origine di facoltà di resistenza o di resilienza come qualcuno potrebbe pensare, ma possono causare debolezze o handicap e questo spesso deriva in gran parte dal punto di partenza, dalla nascita, dall’ambiente familiare, ecc. Ma essendo la paura divenuta una reazione primaria abituale, un a priori che sorge in ogni circostanza, la soluzione adottata dal corpo attraverso un sistema involontario perturbato rimane sistematicamente la stessa: bloccare la respirazione. Quella che era la risposta corretta, diventa il suo opposto. “La soluzione diventa il problema”(2). Il corpo non riesce più ad espirare o a muoversi, nemmeno a parlare, tanto meno ad urlare. Se qualcosa si sblocca per qualsiasi motivo, allora arriva l’espirazione e con essa l’azione si rivela, il bisogno trova una risposta alla situazione, la paura passa in secondo piano e lascia il posto a reazioni che a volte verranno considerate anche come coraggio o incoscienza, codardia o buon senso a seconda del momento o dell’idea che se ne ha.

Régis Soavi - Essere istintivi
Essere istintivi

Una preesistenza alla nascita

È soprattutto dalla metà del XX secolo che nacque l’ideologia della conservazione della specie umana tramite la protezione delle manifestazioni della vita. Questo concetto di protezione impegnò la società occidentale in una corsa alla medicalizzazione dei corpi che non era mai stata nemmeno immaginata fino a quel momento. Questa profilassi, che poteva essere intesa come una risposta moderna e salvifica, è stata purtroppo effettuata facendo suonare campanelli d’allarme per semplici rischi che prima erano considerati normali e che erano intrinseci alla vita. Provocando così, tramite la paura che hanno generato, un effetto nocebo di un’ampiezza senza eguali in passato.
La prevenzione in gravidanza è diventata negli anni una iper-medicalizzazione che si è banalizzata, e che ha privato in primis la donna, ma anche il padre, seppur in misura minore e per ripercussione, di un rapporto semplice con il corpo, con il proprio corpo. La gioia di portare in grembo un bambino, e la forza che ne deriva, si è trasformata in angoscia per ciò che accadrà, e anche per il suo presente nell’utero, la vita del futuro bambino che subisce il trauma della contrazione che sente, e che è causata dall’inquietudine dei suoi genitori. Purtroppo, l’inquietudine viene trasmessa più di quanto si pensi. Nonostante il desiderio del contrario, della serenità che vorremmo assicurare al bambino, questa preoccupazione si trasforma rapidamente in paura, timore del movimento, dei cambiamenti, e più in generale in apprensione di fronte all’ignoto. Le conseguenze sono facilmente prevedibili: rischi di shock emotivi e fragilità di fronte alle difficoltà che possono persistere nella vita futura del bambino. Durante il parto, se manca la tranquillità, se viene sostituita dall’agitazione o dall’ansia, si creano una tensione e una contrazione che bloccano la respirazione del neonato che non capisce cosa sta succedendo ma ne soffre visceralmente senza poter far nulla. A poco a poco, durante la crescita, la mancanza di risposta a questa incomprensione genererà inizialmente pianti e grida, poi una certa forma di apatia, di rinuncia, con l’abbandono della lotta se non si trova una soluzione soddisfacente a questa richiesta.

Taiheki uno strumento per la comprensione

Ho già avuto modo di spiegare su « Dragon Magazine »(Dragon Magazine Spécial Aîkido, n° 23, janvier 2019.) come la conoscenza dei Taiheki può essere uno strumento di qualità in particolari circostanze per comprendere le reazioni delle persone. La classificazione dei Taiheki sviluppata da Haruchika Noguchi sensei(3) si basa sul movimento involontario umano. Non si tratta di una tipologia che consente di inserire gli individui in piccole caselle, ma di identificare le tendenze comportamentali abituali, tenendo conto delle compenetrazioni che possono esserci tra di loro. Itsuo Tsuda sensei ce ne dà una rapida descrizione in questo estratto di uno dei suoi libri:
«I 12 tipi di Taiheki sono i seguenti:
1. cerebrale attivo 5. polmonare attivo 9. bacino chiuso
2. cerebrale passivo 6. polmonare passivo 10. bacino aperto
3. digestivo attivo 7. urinario attivo 11. ipersensibile
4. digestivo passivo 8. urinario passivo 12. apatico

Da 1 a 10 si vedono le regioni di polarizzazione che sono 5:
cervello, organi digestivi, polmoni, organi urinari, bacino.
11 e 12 sono un po’ speciali, perché corrispondono a delle condizioni più che a delle regioni.
Per una stessa regione, si ha un numero dispari e un numero pari. I numeri dispari si applicano alle persone che agiscono per eccesso di energia, a seconda della regione interessata. I numeri pari sono per quelle persone che subiscono l’influenza esterna a causa di una carenza di energia.» (Itsuo Tsuda, Il Non-Fare, Yume Editions, 2014, p. 79.)
Di fronte al pericolo quando si ha paura le risposte saranno molteplici, ma non lo saranno solo in base all’allenamento o alle capacità, ma anche, e soprattutto, a causa della circolazione del ki nel corpo, di questa energia che può essere coagulata in un punto o in un altro, portando a ristagni specifici e quindi risultati e risposte differenti.no

Régis Soavi - Non lasciarsi sopraffare
Non lasciarsi sopraffare

Gruppo verticale
Perché l’azione si attivi, il ki deve andare al koshi ma quando c’è una coagulazione a livello della prima vertebra lombare, l’energia sale al cervello e ha difficoltà a ridiscendere. Ecco perché le persone di tipo uno, cerebrale attivo, tenderanno a sublimare la paura, a oggettivarla, a farne un oggetto da contemplare per analizzarla, e trovare una soluzione che soddisfi l’intelletto, perché l’azione, soprattutto un’azione immediata, non è la loro principale ambizione. Spesso fraintendiamo questo tipo di posizioni che possono sembrare stupide. Ci si chiede perché la persona non ha reagito in tali o tali circostanze, si troverà forse grazie ai Taiheki una risposta alle domande che ci si può porre sul mistero di certi comportamenti umani.
Le persone di tipo due, cerebrale passivo, sono del tutto consapevoli di ciò che sta accadendo, ma il loro corpo non reagisce come aveva pensato il cervello, sebbene non ci sia nulla di imprevedibile. Non possono controllare la propria energia, che in questo caso scende, ma provoca reazioni fisiche incontrollabili come dolori di pancia o tremori che rendono difficile una risposta adeguata.

Gruppo laterale
In questo gruppo la coagulazione è localizzata a livello della seconda lombare e interessa l’apparato digerente. Ecco perché il tipo tre, digestivo attivo, va in panico mentre cerca di placare la paura, sgranocchia velocemente qualcosina che ha sempre a portata di mano in caso di necessità. Se ha un po’ più di tempo, mangia qualcosa di più sostanzioso, un panino, un pasticcino, l’importante è avere lo stomaco pieno; è grazie a questo che il suo plesso solare si ammorbidisce e la paura diminuisce o addirittura svanisce. Allora diventa diplomatico e cerca di sistemare le cose; se non ci riesce, allora si arrabbia e si lancia in modo disordinato, senza pensare alle conseguenze.
Il tipo quattro, digestivo passivo, rimane inerte di fronte alla paura, incapace di reazioni. È una persona affabile e sembra quasi che la cosa non lo riguardi. Dall’esterno si vede molto poco della sua natura perché ha difficoltà ad esprimere le sensazioni o i sentimenti. Dal punto di vista dell’azione si presenterà come una persona premurosa, cortese, che cerca di appianare le cose, di sdrammatizzare la situazione.

Gruppo avanti-indietro
Il tipo cinque, polmonare attivo, ha tendenza ad inclinarsi in avanti, il che facilita l’azione energica; la regolazione o la coagulazione, o anche il blocco della sua energia si trovano a livello della quinta lombare.
Quando si trova di fronte ad un pericolo, e quindi di fronte alla paura, lo vede come un faccia a faccia. Agisce spesso in modo estroverso, ma è anche uno che ragiona, che calcola; se la paura che prova è logica, la affronterà in modo metodico e si tirerà indietro solo se entra in gioco il suo interesse, cioè, se rischia di rimetterci le penne. Agisce a sangue freddo perché si è preparato, per lui l’allenamento ha sempre una ragione di esistere, al di fuori da ogni sentimento.
Il tipo sei, polmonare passivo, invece, è introverso, inibito, ha un senso di frustrazione, ma d’altro canto si infiamma velocemente, soprattutto a livello verbale; di fronte alla paura si irrigidisce ancora più del solito ma può o esplodere come durante una crisi di isteria o rinchiudersi come un’ostrica, tenere il broncio e aspettare.

Régis Soavi - La postura è essenziale
La postura è essenziale

Gruppo torsione
In questo caso la vertebra interessata è la terza lombare, è quella più in avanti rispetto all’asse della colonna vertebrale, è anche il perno a partire dal quale il corpo si muove dal punto di vista della rotazione. Senza rotazione di questa vertebra e senza curvatura lombare c’è poca possibilità di azione del koshi.
Il tipo sette, urinario attivo, si torce in modo tale da proteggere i propri punti deboli, sia fisici che psichici, non vuol sapere nulla della paura, vuole ignorarla, e funziona. Sa che non può combatterla se non a rischio che essa si rafforzi e lo blocchi nella sua azione, ritiene che bisogna soprattutto non pensare, bisogna tirar dritto, costi quel che costi. Viene spesso considerato come un eroe o un incosciente, se ne frega, semplicemente non può resistere a ciò che lo spinge in avanti, l’azione è la sua ragione di vita e il suo modus operandi.
Il tipo otto, urinario passivo, ha il koshi che diventa duro e il suo spirito combattivo si tende interiormente. D’altra parte, tende a fare il gradasso e si offende per un nonnulla. Affronta la propria paura se c’è un pubblico, o se viene messo in competizione, se un avversario lo sfida. Anche se non può vincere, si ostina in modo da non perdere, mentre il tipo sette vuole assolutamente trionfare. Esagera le condizioni che lo hanno portato ad avere paura e poiché ha una voce forte, a volte può imporsi con i suoi soli schiamazzi.

Gruppo bacino
Nel caso delle persone di tipo nove o dieci, la polarizzazione avviene in tutto il corpo. Si potrebbe dire che c’è una tendenza alla tensione, alla concentrazione, per gli uni e al rilassamento, o addirittura alla lassità permanente, per gli altri.
Nel tipo nove, bacino chiuso, è la tensione a prevalere. Non ha paura facilmente perché il suo intuito gli permette di percepire il pericolo prima che si manifesti. In ogni caso, la paura, anche se presente in un dato momento, non lo ferma mai nelle sue iniziative. È una persona per la quale l’intuizione è più importante della riflessione. È vigoroso ma d’altra parte estremamente ripetitivo, è tenace e piuttosto introverso. La sua energia è interiorizzata a livello del bacino. Rappresenta un esempio per chi vuole osservare la continuità negli esseri umani.
Il tipo dieci, bacino aperto, è il più capace di dissipare energia. Di fronte alla paura trova più forza per proteggere gli altri che per la sua protezione personale; si pensa che agisca per gentilezza, di fatto agendo così dimentica la propria paura e le proprie difficoltà. In caso di pericolo, se è solo, lungi dal cercare di combattere può cercare di fuggire, perché ciò che conta è rimanere in vita e quindi può facilmente essere considerato un codardo, mentre se sono in gioco altre vite è il suo istinto primordiale per la sopravvivenza che scaturisce in modo involontario « per assicurare il futuro della specie umana ». Rischia di soffrire a causa dell’opinione degli altri che ovviamente non lo capiscono in questo genere di casi, e che per questo reagiscono secondo la morale o idee inculcate sul coraggio.

Tipo undici detto « ipersensibile »
Reagisce molto rapidamente difronte alla paura perché vi è abituato, ma questa reazione non produce un’azione, essa sembra piuttosto avere un carattere emotivo ed egli ha una forte tendenza ad esagerarla. Anche se non succede quasi nulla, egli drammatizza perché si produce in lui un’accelerazione del cuore non appena il suo Kokoro viene turbato, può facilmente svenire o sviluppare un attacco d’asma. A causa della sua sensibilità esacerbata, è il candidato ideale per ogni tipo di derisioni, anche se vi sfugge, sa che può diventare un capro espiatorio e subire vessazioni alle quali non saprebbe come rispondere.

Tipo dodici detto « apatico »
Affinché possa reagire di fronte alla paura, ha bisogno di ricevere ordini chiari. Anche se si presenta con un corpo robusto e squadrato, questa è solo un’apparenza in quanto non sa come reagire, a volte lo fa in modo troppo forte, o lascia perdere. Ha tendenza a seguire la massa, ad agire se gli altri intorno a lui agiscono, a fare come tutti o ad aspettare subendo.
Poiché la società tende a iperproteggere i cittadini, negando loro anche il diritto di difendersi da soli, salvo in determinate circostanze molto inquadrate dalla legge, si produce un intorpidimento degli individui che rischia di favorire una direzione che plasma corpi di tipo dodici qualunque sia il Taiheki di partenza.

Senza incidenti, così va l'uomo dabbene, calligrafia di Itsuo Tsuda
Senza incidenti, così va l’uomo dabbene, calligrafia di Itsuo Tsuda

Aikido, una speranza

La normalizzazione del terreno non avviene combattendo la paura. Se questo qualcosa che continua a vivere in noi, che aspira a una maggiore libertà, non si risveglia, è una lotta che rischia di essere solo superficiale. L’insegnamento dell’Aikido mira a rendere gli individui indipendenti e autonomi e non a formare combattenti, ciò non toglie nulla al fatto che si tratta dell’apprendimento di un’arte marziale. Si può imparare perfettamente la falegnameria o la musica senza voler diventare un professionista, ma essendo un appassionato capace di fabbricare un tavolo, o un armadio, capace di apprezzare una sinfonia, come pure un quartetto o un lied. Se si ha una buona formazione, si saprà reagire in modo corretto in ogni circostanza, si saprà valutare la situazione, si sentirà quando bisogna intervenire e come, o se ci si deve astenere da qualsiasi intervento. La pratica dell’Aikido trasforma le persone indipendentemente dal loro passato, dalle loro tendenze, ma solo a condizione che accettino di fermarsi nella loro folle corsa all’acquisizione di tecniche psichiche o fisiche che dovrebbero fornire la soluzione a tutti i problemi, a tutte le paure. La liberazione se è necessaria, a volte può anche venire dall’atto che consiste in un “indietro tutta », per ritrovare l’equilibrio e la forza che ognuno di noi possiede e che aspettano solo di sorgere, di dispiegarsi

Volete ricevere i prossimi articoli? Iscriviti alla newsletter:

Articolo di Régis Soavi pubblicato in Self e Dragon Speciale n° 8 nel mese di gennaio del 2022.

Notes :

  1. In francese “démultiplier” significa “aumentare la potenza di qualcosa moltiplicando i mezzi utilizzati”, esiste però anche un senso figurato che in italiano manca.
  2. Paul Watzlawick, teoria di Palo Alto.
  3. Haruchika Noguchi, ideatore del Seitai (1911-1976).