Taiheki, il rivelatore

di Régis Soavi

Noro Sensei, negli anni Settanta, ci raccontava che Ō Sensei Morihei Ueshiba rimprovera­va talvolta ai suoi allievi la loro mancanza di attenzione nel momento in cui telefonavano da una cabina pubblica, concentrati com’erano sulla loro conversazione: «Dovete essere pronti in tutte le circostanze, qualsiasi cosa facciate!» diceva.

L’Aikido opta per una posizione naturale, senza guardia, detta Shizen Tai. Ma una postura naturale non è affatto una postura rilassata come la si intende oggi, in ogni caso la con­centrazione e l’attenzione non devono essere rilasciate. Se la guardia più diffusa nell’Aiki­do resta Hammi no Kamae, come tutte le altre anche questa dipende, più di quanto non si creda, dalla polarizzazione dell’energia nel corpo.

Kamae, l’istinto del corpo

Mi ricordo di quello che ci aveva detto Maroteaux Sensei in occasione di una delle mie pri­me sedute di Aikido al dojo della Montagne Sainte-Geneviève: «Aprite la porta, un cane vi salta alla gola, che fate?» Evidentemente ero rimasto senza parole, ma la domanda che ci aveva posto, al tempo in cui ero un giovane praticante di arti marziali piuttosto sicuro di sé all’epoca, mi aveva scosso, e questo fu all’origine delle mie ricerche sulle Kamae.
Mettersi in guardia è la risposta ad un atto aggressivo o ad una sensazione di pericolo. Per chi non conosce le arti marziali questa risposta sarà istintiva, mentre per un praticante sarà il risultato della sua formazione. Le sue ricerche personali potrebbero portarlo a utiliz­zare il suo corpo in una maniera diversa da quella che aveva appreso e per questa ragio­ne troverà un posizionamento o una guardia che gli conviene, a volte più pertinente, a vol­te tale da tendere una trappola lasciando credere ad un’apertura o ad una debolezza da parte sua. Sebbene ci siano numerosi modi di mettersi in guardia, e dunque di proteggersi, si deve tener conto del proprio corpo; malgrado tutto ciò che si è appreso, malgrado gli anni di allenamento, come ultima risorsa sarà l’istinto a guidarci. Il lavoro sulle arti marziali, lungi dall’essere inutile, sarà piuttosto in questo caso un supporto, un appoggio. Il rischio del­l’apprendimento è talvolta quello di fornire una sicurezza, una fiducia nella tecnica, nelle posture che, se sono magnifiche in foto o sui tatami, non corrispondono ad alcuna realtà nella vita di tutti i giorni. Trovare la postura giusta dipende dal corpo di ciascuno. Fin troppi praticanti cercano, lavorando con accanimento, di modellare il loro corpo per renderlo con­forme all’idea che si sono fatti della loro arte, o più semplicemente dell’efficacia che spera­no di ottenere. Si prende in considerazione l’estetica dell’arte, e di conseguenza se ne per­de la profondità. Si vede il lavoro compiuto ma non ci si rende conto delle deformazioni ac­quisite a causa di questo lavoro. Ci sono tanti allievi che ripetono lo stesso esercizio un numero incredibile di volte, la stessa tecnica, sperando così, imitando semplicemente il maestro o il professore, di arrivare alla padronanza della propria arte, mentre seguono la via della deformazione senza rendersene conto. Non bisogna stupirsi del numero di inci­denti o di disabilità che ne derivano. Quanti non possono più praticare a causa di un ginoc­chio, di un gomito, di un polso, o della loro schiena mentre sono ancora giovani e pieni di energia?

Noguchi Haruchika Sensei 1911-1976 fondatore del Seitai

Le Kamae dipendono dal Taiheki

Il Seitai ci fornisce un eccellente strumento, lo studio delle tendenze corporee che Noguchi Haruchika Sensei ha chiamato Taiheki (体癖). È Tsuda Sensei che ce ne dà una prima de­scrizione, benché sommaria, ma era già una rivelazione, al momento della pubblicazione del suo libro Il Non-fare1 agli inizi degli anni Settanta. Egli ha poi completato questo insegnamento nei libri che seguirono nel corso degli anni, senza smettere di apportare degli esempi che ci permettevano di meglio comprendere i Taiheki. Anche la lettura dei testi di Noguchi Sensei ci ha permesso di approfondire la conoscenza dei comportamenti umani e soprattutto delle loro relazioni con il corpo. La comprensione dei movimenti del corpo degli individui permette di guidare i debuttanti verso una postura migliore, senza che si deformino. Siccome ci vorrebbe un libro intero per spiegare questo insegnamento a chi non conosce l’argomento, sono obbligato a fornire solo qualche indicazione, senza entrare nel dettaglio.
La classificazione dei Taiheki messi a punto da Noguchi Sensei si basa sul movimento in­volontario umano. Non si tratta di una tipologia che permette di inserire gli individui in ca­selle predefinite, ma di svelare le tendenze comportamentali abituali tenendo conto delle interpenetrazioni che possono esistere tra queste.
Questa classificazione comprende sei gruppi: i primi cinque sono in relazione con una ver­tebra lombare, l’ultimo gruppo non è in relazione con la colonna vertebrale, ma con uno stato generale del corpo. Ogni gruppo è suddiviso, a seconda dell’aspetto Yang o Yin, in due sottogruppi o tipi, detti “attivo” e “passivo”. Per ben comprendere l’interesse di un tale studio, ho scelto alcuni esempi che alla luce dei Taiheki mi sembrano più esplicativi di altri.

Trovare la giusta postura dipende dal corpo di ciascuno.

Taiheki, il rivelatore

All’interno della classificazione, il primo gruppo è anche chiamato «gruppo verticale» ed è in relazione con la prima vertebra lombare. La sua energia tende a polarizzarsi al cervello.
Il tipo 1, ad esempio, è estremamente sicuro di sé in rapporto alla Kamae, egli adotta una posizione assolutamente definitiva, è capace di spiegarla a tutti, con molta logica. Anche se la sua esperienza è minore, si fa immediatamente un’idea della cosa e non demorde. I suoi talloni hanno la tendenza a sollevarsi dal suolo a causa della tensione che ha alle cer­vicali, egli svilupperà, ad esempio, una teoria secondo la quale si può saltare più rapida­mente e più lontano in caso di attacco e rifiuterà tutte le contraddizioni, fino al momento in cui non sorgerà un’altra idea che gli sembrerà essere più brillante o più giudiziosa.
Il tipo 2 sa tutto sulle Kamae relativamente a quasi tutte le arti marziali, le origini storiche, il valore di ciascuno e i maggiori difetti, l’apporto di ogni maestro. Conosce anche delle sto­rielle che illustrano le sue affermazioni, è un pozzo di conoscenza che non esita a com­pletare non appena sente una mancanza da qualche parte nella sua argomentazione o nei suoi riferimenti.

Il secondo gruppo è denominato «gruppo laterale» ed è in relazione con la seconda verte­bra lombare. La sua energia tende a polarizzarsi sull’apparato digerente
Il tipo 3 è un “bon vivant”, nel momento in cui pratica le arti marziali sceglie il suo club più in funzione dell’ambiente che dell’efficacia dell’arte insegnata o della notorietà del maestro. Tutte queste storie sulla postura, sulla guardia, non lo interessano che molto poco, egli ha la sua piccola opinione in proposito come d’abitudine, a lui piace o non piace, vale a dire gli va bene o no.
Il tipo 4 al contrario è molto riservato, è difficile sapere cosa pensi. Affabile, raramente esprime la propria opinione, anche se si instaura un dibattito sul valore delle diverse Ka­mae, non ha opinioni vere e proprie, tutto gli sembra possibile in funzione delle circostan­ze. Egli rientra piuttosto nel genere del diplomatico senza eccessi.

Il terzo gruppo è denominato «gruppo polmonare» o «gruppo avanti-indietro» ed è in rela­zione con la quinta vertebra lombare. La sua energia tende a polarizzarsi sull’apparato re­spiratorio.
Il tipo 5 non ama discutere per niente, una guardia deve avere un senso pratico, o è effica­ce o non lo è. Occorre verificare, e se funziona andare avanti… Schivare non è vera­mente il suo forte, preferisce le tecniche in Omote piuttosto che quelle in Ura. A causa del­la sua tendenza ad appoggiarsi sulla quinta lombare le sue spalle si portano in avanti e lo incitano ad agire. È facilmente combattivo, ma sa preservarsi delle vie di fuga in caso di bi­sogno.
Il tipo 6 ha troppa tensione alle spalle per poter agire in maniera semplice. Quando questa tensione si rilassa libera una enorme quantità di energia che parte in tutte le direzioni e che egli stesso non riesce a gestire. Di fronte a lui non è possibile alcuna guardia, è com­pletamente ingestibile ed imprevedibile col rischio di mettersi egli stesso in pericolo.

Il quarto gruppo è denominato «gruppo torsione» ed è in relazione con la terza vertebra lombare. La sua energia tende a polarizzarsi sull’apparato urinario.
Alcuni Taiheki possono a priori sembrare predisposti ad una buona guardia, come nel caso del «gruppo torsione» (tipo 7 o 8) poiché per difendersi adottano istintivamente un genere di postura, piuttosto di profilo, le lombari inarcate, un piede avanti etc. Questa po­stura può sembrare ideale, per una posa o su una foto. Ma messa da parte la precisione del posizionamento e i punti di appoggio, la capacità di muoversi dipende, evidentemente e può darsi principalmente, dal mentale. C’è una differenza enorme, che cambierà tutta la questione, tra una torsione di tipo 7 e quella di tipo 8. Per semplificare dirò che il tipo 7 vuole vincere mentre il tipo 8 non vuole perdere. Tutta la postura cambia, l’uno si appresta a slanciarsi in avanti, l’altro a tentare di schivare. Per di più le persone del gruppo torsione hanno una agitazione permanente che in questo caso si rivela nefasta. Agitati, non aspet­tano che una sola cosa: passare all’azione. L’attesa per loro è insopportabile, non resisto­no più, tutto ad un tratto si lanciano, tanto peggio se non è il momento giusto.

Il quinto gruppo è denominato «gruppo pelvico» o «gruppo bacino» ed è in relazione con la quarta lombare. La sua energia non è polarizzata verso una regione del corpo, è tutto il corpo che a partire dalle anche si tende e si rilassa in un colpo solo.
Il tipo 9 è un esempio della continuità, quando pratica le arti marziali tende a farne la sua unica ragione di vita, la tendenza del suo bacino alla chiusura dà una grande forza al suo koshi che gli facilita il compito dell’apprendimento, ma ha una predisposizione al perfezio­nismo che a volte può rasentare l’assurdo. Si preoccupa dei dettagli e perfezionerà le Ka­mae fino al più piccolo elemento, fintanto che la postura non sia perfetta dal suo punto di vista, sarà insoddisfatto, ma è giustamente questa insoddisfazione che, lungi dallo scorag­giarlo, lo spinge in avanti. Niente può opporglisi, solamente la soddisfazione interiore è il suo punto di riferimento. Può, come Ō Sensei Morihei Ueshiba, così come altri grandi mae­stri, arrivare alla conclusione che la posizione naturale è la Kamae ideale perché rap­presenta il superamento di tutte le altre. Ma questa posizione naturale è il frutto dei suoi numerosi anni di lavoro e di allenamento e non una facilità teorica o un rilassamento.
Il tipo 10 invece ritiene che una buona guardia sia indispensabile, che è una garanzia di stabilità e che se si rispettano gli altri non ci saranno conflitti. Il suo bacino aperto ne fa ge­neralmente una persona molto accogliente, possiede una grande sensibilità e la sua intui­zione è micidiale. La sua postura aperta gli impedisce di essere aggressivo, avrà la ten­denza a fare delle tecniche Ura che gli riescono meglio e la sua guardia andrà più nella di­rezione di assorbire l’attacco piuttosto che di respingerlo.

I due tipi restanti, che formano l’ultimo gruppo, sono degli stati del corpo denominati «iper­sensibile e apatico».
Il tipo 11 non riesce ad avere una guardia precisa e definita, la sua ipersensibilità ne fa un essere disturbato che non giunge ad avere dei punti di riferimento. La sua guardia è im­precisa, e addirittura disordinata o confusa e quasi sempre totalmente inefficace. La paura ha la tendenza a liquefargli le gambe. L’Aikido può essere un’attività eccellente nel suo caso, a condizione che l’insegnante comprenda bene le sue difficoltà, e non gli metta fretta, al fine di condurlo verso una sensibilità normale.
Il tipo 12, al contrario, è un esempio di rigidità, ha una guardia molto fisica spesso non molto flessibile, è capace di incassare tutti i colpi senza battere ciglio. Il suo corpo può tal­volta presentare una lassità muscolare a livello delle articolazioni senza che la sua rigidità ne venga diminuita.

È in funzione dei Taiheki che possiamo comprendere l’inutilità di tale o tal’altra postura e dunque di questa o quella Kamae. I punti d’appoggio sono differenti da un individuo all’al­tro, e anche l’energia per spostarsi o semplicemente per muoversi lo sono. È dunque inuti­le proporre un esercizio che, se migliora la postura apparente, distrugge la persona nei suoi fondamenti, o che come minino rischi di provocare delle deformazioni tanto fisiche che mentali.

Kamae e rigidificazione

Tsuda Sensei considerava che la rigidificazione e il rilassamento degli individui facessero parte dei grandi tranelli indotti dalle nostre società moderne, ma egli non ignorava che questi problemi esistessero già da tempo, che sono inerenti alla società umana. Nel suo li­bro La Via degli dei2 riferisce un aneddoto sulle Kamae che ho trovato ancora una volta molto significativo. È significativo dei rischi in cui l’immaginazione può fare incorrere, an­che a delle persone del mestiere come i Samurai:

«La contrazione involontaria si rinforza man mano che l’immaginazione si riempie di paura. La paura non rimane soltanto nella testa. Paralizza tutto il corpo. Soprattutto i polsi perdono flessibilità e le braccia si desensibilizzano. È quello che è successo a due samurai che si battevano in un duello, di cui ho letto il racconto da qualche parte. Tenevano la spada a due mani e si fronteggiavano, a diversi metri di distanza l’uno dall’altro. A questa distanza erano ancora fuori pericolo, qualsiasi cosa facessero, ma già il loro volto era pallido. Pro­babilmente erano madidi di sudore freddo. Sono rimasti lì, alla stessa distanza, per un cer­to tempo. Alla fine si sono avvicinati, dopo poco ce n’era uno che giaceva per terra e l’altro che stava in piedi. Il combattimento era finito. Ma il vincitore rimaneva lì, incapace di mol­lare la spada, perché le dita si erano contratte sull’impugnatura. La contrazione era tale che gli risultava difficile rilassarle.»

La concentrazione e l’attenzione non devono essere rilasciate in alcun caso

Se si vuole evitare la rigidificazione che può essere provocata da guardie quando queste non ci corrispondono, o quando i condizionamenti che esse impongono ci deformano, c’è solo il buon senso e la ricerca personale verso l’equilibrio che possono permettercelo. Non ci sono soluzioni definitive per tutti i problemi e per sempre.

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Articolo di Régis Soavi pubblicato in Dragon Magazine (speciale Aikido n° 23) nel mese di gennaio del 2019.

Note:

1. Itsuo Tsuda, ll Non-Fare, Yume Editions, 2014.
2. Itsuo Tsuda, La Voie des dieux, Le Courrier du Livre, 1982, p. 60.

foto di Régis Sirvent e Sara Rossetti